Con quali modalità e fino a quando è lecito criticare il proprio datore di lavoro?

Sappiamo perfettamente che la nostra Costituzione - e precisamente l’articolo 21 il quale disciplina il più ampio diritto di manifestare il proprio pensiero - e lo Statuto dei Lavoratori (articolo 1) ammettono il diritto di critica che, pertanto, è legale anche se rivolta da un lavoratore nei riguardi dell’azienda presso cui presta le proprie mansioni.

In particolare, un dipendente all’interno del luogo di lavoro può tranquillamente, ad esempio, criticare le azioni dell’azienda che impattano negativamente, anche se potenzialmente, sulla salute e sicurezza di uno o più lavoratori.

Ma spesso si verificano diversi casi in cui si oltrepassa i limiti della “critica” al datore di lavoro configurandosi un’offesa vera e propria e quindi l’esecuzione del reato di diffamazione.

Poiché è sotto gli occhi di tutti che negli ultimi anni su internet, e sui social network in modo particolare,  trovano terreno fertile i diversi commenti e gli sfoghi di tantissime persone, oramai, è ben consigliato sapere con precisione fin quando è permessa la critica del dipendente nei riguardi dell’impresa in cui si lavora.

In sintesi, la critica è ammessa se non danneggia il decoro morale o professionale e, nel caso del diritto di critica del dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro, tale azione non dovrà arrecare pregiudizi economici e lesioni all’onore e alla reputazione.

Altrimenti, attraverso un provvedimento di espulsione in tronco, e senza neanche il preavviso, si rischia il licenziamento per giusta causa anche perché il lavoratore viola l’obbligo di “fedeltà” sancito dall’articolo 2105 del Codice Civile!

Nella pratica, tale diritto di critica dovrà essere esercitato dal dipendente utilizzando un linguaggio pacato e moderato e rispettando la verità dei fatti in quanto, oltre al licenziamento in tronco, verrà anche querelato per diffamazione con l’aggiunta dell’aggravante perché il reato si è consumato nella rete internet tramite cui potenzialmente si raggiunge un numero indeterminato di persone. Anche se ciò avviene senza riportare il nome dell’azienda ma che risulta ugualmente individuabile in maniera agevole come stabilito da una recente Sentenza della Corte di Cassazione.

L’unica eccezione si verifica quando si ha a che fare di una chat privata su WhatsApp oppure di un gruppo privato su un social network.

Infatti, sempre secondo la Cassazione, in questi casi in cui la larga diffusione non si verifica perché il messaggio è circoscritto nelle poche persone che partecipano a tali chat private e/o gruppi privati il reato di diffamazione non nasce e, pertanto, l’azienda non potrà procedere neanche al licenziamento per giusta causa.

Tutto questo si verifica sempre se non si ha la volontà di diffondere il messaggio in questione al di fuori della chat privata oppure del gruppo privato.